Sara Bencivenni
Ciao!
Riprendo oggi le pubblicazioni e lo faccio ospitando una persona,una nuova amica che tanto mi ha colpito con il suo grande talento.
Scrittrice con notevoli capacità descrittive ma anche ragazza assolutamente meravigliosa,Sara si è raccontata a me con dovizia di particolari.
Per cui non mi dilungo oltre e lascio a voi la possibilità di leggere tutta la sua bravura.
Mi sono innamorato di come scrivi per cui iniziò dal domandarti quale è stata la molla,la spinta per le quali hai iniziato con questa splendida forma d'arte.
" Questa è la “definizione” che mi sono data per spiegarmi cosa significasse per me scrivere:“Catarsi dell’inchiostro, che sporca il foglio bianco e pulisce me, dentro”.
E’ strano per me citarmi, mi infastidisce anche un po' questa autoreferenzialità ,ma in questo caso mi sembra che non ci sia modo migliore per presentarmi.
Catarsi, oltre a essere una parola il cui suono non smette di ammaliarmi, è il concetto che meglio spiega il modus operandi della mia testa.
Accade che senta, d’improvviso e senza preavviso, delle immagini, dei suoni e, meccanicamente, qualcosa dentro di me si accartoccia sempre più per rincorrere LA parola, l’unica possibile, l’unica che possa veramente raccontare.
E’ abbastanza sinestetica, in effetti, la mia ispirazione – se così posso chiamarla – e se dovessi spiegarla, direi che è la fisiologica risposta del mio ontologico essere una persona incapace di tenere la mente sgombra dai pensieri.
Quando incappo in una sensazione, la mia mente vi si aggrappa e non ho altro modo per liberarmene che metterla per iscritto.
E’ fondamentale per me l’atto in sé della scrittura, la manualità, la gestualità dell’impugnare, il guardare le parole, le frasi, le storie nascere lettera dopo lettera sotto la mia mano.
Sono quasi totalmente incapace di scrivere al computer, cosa che i miei amici amano sottolineare per prendermi in giro (non scherzo: la mia tesi di laurea è stata prima scritta a mano e poi trascritta!).
Credo che anche questo sia in fondo un aspetto significativo del mio rapporto con la scrittura: lo vedo come una metafora icastica del farsi carne dei concetti attraverso la mia mano e del divenire concetto del mio essere un particolare."
Leggendoti e apprezzandoti ho visto date piuttosto in là nel tempo,quindi ora ti chiedo del quando...
"Il primo grande progetto strutturato, che segna in un certo senso il mio simbolico battesimo all’inchiostro, richiede un considerevole salto nel tempo: avrò avuto forse otto anni quando, con una convinzione di dimensioni decisamente più grandi di me, comunicai a mamma e papà che volevo scrivere un libro. I miei genitori si erano già da un paio d’anni rassegnati alla smisurata infatuazione per la lettura di una bambina innamorata delle storie, così decisero di assecondarmi ancora una volta. Ricordo che mi concessero addirittura di usare i fogli buoni, quelli bianchissimi della stampante, spessi e così lisci da sembrare lenzuola di seta; i fogli, insomma, da cui ero tenuta lontana tutti quei pomeriggi in cui mi improvvisavo Picasso con matite e pastelli. Ho abbandonato la mia opera di debutto abbastanza velocemente e la verità è che di piani così ambiziosi non ne ho più avuti. Tuttavia, da quel momento ho iniziato a scrivere, a disegnare i miei pensieri con le parole, ogni volta che sentivo il bisogno di farlo, perché alla fine è un bisogno quello che sento quando scrivo. Di questo si è accorta precocemente la mia migliore amica, che il primo anno di ginnasio mi ha regalato l’oggetto che è poi divenuto il mio inseparabile compagno: un quadernetto con i fiori, arancione – perché l’arancione è il mio colore preferito- sul quale, mi ha fatto promettere, avrei dovuto scrivere tutti gli scarabocchi che mi frullavano in testa. Sono passati circa nove anni e, nonostante le pagine disponibili siano ormai da tempo terminate, non so staccarmi da quel cimelio, che continuo a riempire con fogli, foglietti e scontrini." |
Nessun commento:
Posta un commento